sabato 2 aprile 2011

Omaggio a Garibaldi nei 150° dell'Unità d'Italia


Giuseppe Garibaldi amava le api, anzi, l'apicoltura era la sua "occupazione prediletta". E' una versione inedita della figura dell' eroe dei due mondi, che un discendente della famiglia propone, parlando del suo illustre avo, come di un'apicoltore provetto. Secondo alcuni scritti di Garibaldi e, in particolare in una lettera indirizzata al Presidente della Società Italiana di Apicoltura, il generale, in ritiro a Caprera al termine della spedizione dei Mille, definisce l'apicoltura come la sua "occupazione prediletta".





Secondo alcune testimonianze Garibaldi si definiva non un uomo d'armi ma un agricoltore a tutti gli effetti, come dichiara al sindaco di Caprera nel 1880. E lo era davvero se si considera che possedeva circa ottanta alveari, una quantità piuttosto rilevante per l'epoca. La passione per le api pare abbia attraversato nei secoli tutta la famiglia Garibaldi, contagiando avi e discendenti del generale dalla camicia rossa. Nei primi anni del Settecento un omonimo antenato del patriota, di professione medico, allevava api sull' Appennino Ligure. Nel 1790 un trattato di apicoltura, 'I prodigi della natura manifestati nella api', porta la firma del nipote di quest'ultimo, anch'esso di nome Giuseppe.
Ovunque i monumenti a Garibaldi raffigurano un bellicoso condottiero, non l’esperto uomo di mare, l’operaio, l’agricoltore e l’apicoltore. E invece, furono proprio le sue esperienze di marinaio e di comandante di velieri, le idee assorbite nei porti di tutto il mondo, quelle che ebbero un’influenza determinante nel trasformare il figlio di un armatore di tartane di una città di provincia, in “Garibaldi”.

Se nella sua vita fu costretto ad esercitare le attività più diverse (compresa la fabbricazione di candele a New York), la sua vera professione rimase quella del marinaio e molte vicende della sua esistenza sono strettamente collegate alla marineria italiana mentre l’epoca del suo “ritiro” fu contrassegnata ancora una volta da un mestiere pratico quello dell’agricoltore; tant’è che negli ultimo anni si dichiarava: Giuseppe Garibaldi agricoltore.

L’agricoltura a fine carriera è il tradizionale percorso di tutti i grandi uomini della marineria italiana, e di quella genovese in particolare, che definitivamente sbarcati si sono dedicati alla coltivazione della terra a conferma del grande legame fra attività produttiva di mare e di terra come unico contesto lavorativo dipendente dalle peculiarità, potenzialità e risorse del territorio. Contrariamente all’immagine stereotipata di avventuriero impulsivo le sue fortune politiche, militari e marinaresche (e anche apistiche) sono dovute proprio a due rare attitudini e virtù: la modestia e la preparazione più accurata e studiata d’ogni particolare.

Su tale misurato e umile approccio si innestano le grandi capacità di visione e di ingegnosa improvvisazione, giust’appunto “garibaldina”.

Tale modo di procedere l’eroe dei due mondi lo applica anche quando si ritira a Caprera cogliendo subito i fermenti d’innovazione in corso nella gestione delle api e modestamente vi si applica senza nulla nascondere degli insuccessi e delle difficoltà che rendono ardua l’attività così consueta alla sua famiglia.

Proponendo anche in campo apistico il confronto delle idee e la socializzazione delle esperienze e delle acquisizioni quale leva vincente per avanzare collettivamente.


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